News | 11 agosto 2025, 09:00

Mediobanca e la mina Pellicioli: il caso che agita l’OPS su Banca Generali

Tra ambizioni di crescita e sospetti di governance, Piazzetta Cuccia spinge sull’acquisizione della controllata Generali

Mediobanca e la mina Pellicioli: il caso che agita l’OPS su Banca Generali

Che Mediobanca guardasse da anni con interesse a Banca Generali, controllata del Leone di Trieste, non è mai stato un mistero. Piazzetta Cuccia ha sempre visto nella banca private di Generali un tassello prezioso per rafforzare il proprio business nel wealth management. Ecco perché non stupisce che il ceo Alberto Nagel ne abbia parlato con alcuni consiglieri, magari già messi a parte del progetto in passato, soprattutto se al secondo mandato e quindi già “rodati” su certe dinamiche. Ma è proprio qui che la storia si fa delicata: se quelle conversazioni sono avvenute mentre i consiglieri erano in corsa per la ricandidatura, la linea tra informazione e influenza si assottiglia pericolosamente.

In mezzo a tutto questo, spunta il nome di Lorenzo Pellicioli. Figura di lungo corso nel panorama industriale e finanziario, oggi siede nel cda di Generali. Secondo le indiscrezioni, avrebbe manifestato una disponibilità a sottoscrivere azioni Mediobanca per sostenere l’operazione su Banca Generali. Una mossa che, però, avrebbe trovato la porta chiusa da parte di Philippe Donnet, numero uno del Leone, deciso a difendere la neutralità della compagnia e a evitare qualsiasi ombra di conflitto d’interessi.

La Consob, dal canto suo, osserva la vicenda mantenendo il profilo di routine: si tratta di attività di vigilanza ordinaria, nulla di più – almeno per ora. Ma chi conosce bene il mercato sa che dietro la formula “ordinaria amministrazione” possono nascondersi dossier delicatissimi, che restano in standby finché i fatti non li rendono esplosivi. E allora la domanda sorge spontanea: può Mediobanca davvero permettersi che il dibattito sull’operazione venga offuscato da sospetti di governance?

Nagel non sembra avere intenzione di rallentare. L’operazione è di quelle che possono cambiare i connotati del gruppo: un’OPS da oltre sei miliardi, con sinergie stimate nell’ordine di centinaia di milioni e un potenziale aumento della redditività sopra il 20%. Un affare che, se andasse in porto, rafforzerebbe la posizione di Mediobanca e le darebbe un vantaggio competitivo importante, non solo in Italia ma anche a livello europeo.

Eppure, in ogni grande manovra c’è sempre una variabile difficile da controllare. In questo caso, si chiama Pellicioli. La sua posizione, il suo ruolo e le sue eventuali interlocuzioni possono diventare un fattore destabilizzante, soprattutto se il fronte contrario all’operazione – da Caltagirone a Delfin – dovesse trovare in questa storia un appiglio per contestare la trasparenza dell’intero processo.

Il prossimo passaggio è fissato per il 21 agosto, quando gli azionisti saranno chiamati a esprimersi. Fino ad allora, la partita resta aperta e il clima teso. Mediobanca punta a portare a casa il colpo grosso, ma dovrà farlo schivando le mine disseminate lungo il percorso. E quella che porta il nome di Pellicioli, volente o nolente, è una delle più insidiose.


 

Paolo d’Ascenzi