Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (33657/2025) in tema di sequestro di telefoni cellulari e della susseguente estrazione dei dati tramite “copia forense”, ha evidenziato come il diritto alla esclusività dei dati contenuti nel telefono cellulare, che tutti noi utilizziamo principalmente per memorizzare dati privati attinenti alla vita personale, familiare ed amicale e, solo sussidiariamente, per le attività professionali, risulta prevalente sulle esigenze investigative, in quanto garantito, oltre che dai principi Costituzionali, anche dall’art.8 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea e dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La Suprema Corte di cassazione ha stabilito che “in tema di ricerca dei mezzi di prova è illegittimo il sequestro probatorio di un telefono cellulare con il quale il PM acquisisca la totalità dei filmati, messaggi e fotografie ivi contenute senza indicare le ragioni per le quali, ai fini dell’accertamento dei reati ipotizzati, si rende imprescindibile la verifica di tutti i dati e si giustifica, nel rispetto del principio di proporzionalità, un così penetrante sacrificio del diritto alla segretezza della corrispondenza”.
Risulta illegittimo, quindi, un provvedimento del PM che disponga il sequestro del cellulare e l’estrazione di tutta la sua memoria senza che ciò sia strettamente e concretamente necessario e funzionale allo svolgimento delle indagini in corso.
A pena di nullità, nel decreto di sequestro e di estrazione di copia dovrà, quindi, essere ben esplicitato l’oggetto della ricerca; inoltre, dovranno essere date ai periti incaricati dell’attività di estrazione sia le parole chiave di ricerca sia ambiti temporali delimitati, per limitare l’acquisizione ai soli dati pertinenti alle indagini in corso ed utili all’accertamento investigativo.
In caso di violazione di tali indicazioni non solo il sequestro del telefono sarà nullo ma lo sarà anche l’eventuale copia forense ottenuta.
Questa sentenza delinea i poteri del PM in questa materia, obbligandolo ad uno stringente dovere di congrua ed adeguata motivazione nel caso in cui si renda necessaria l’acquisizione massiva dei dati contenuti nel dispositivo; inoltre, occorre un limite temporale del periodo di accertamento, che non si può estendere illimitatamente nel tempo al di fuori del perimetro dell’indagine in corso, per evitare indagini “a strascico”.
Tutto ciò, in attesa della nuova normativa che, già approvata dal Senato, da un anno è all’attenzione della Camera dei Deputati (atto N. 1822) e che, tra l’altro, dispone che il potere di sequestro dei dispositivi informatici sia riservato al Giudice e non più al PM, salvi i casi di urgenza.


Maurizio Vallone



