A Parigi, nei quartieri della finanza, sempre più private banker e gestori parlano di una città diversa: Milano. Non è una moda passeggera: è il segnale di un riequilibrio silenzioso nei flussi dell’élite finanziaria francese.
Negli ultimi anni l’Italia ha costruito un arsenale di incentivi fiscali che fa gola a chi ha redditi elevati: il regime degli “impatriati”, che tassa solo il 50% del reddito di chi si trasferisce e lavora in Italia, e il forfait sui redditi esteri – la flat tax per nuovi residenti – che consente ai contribuenti più ricchi di pagare un’imposta fissa annua sui redditi prodotti all’estero invece delle aliquote progressive ordinarie. Molti di questi nuovi arrivati hanno scelto Milano come base naturale.
I numeri raccontano la tendenza. L’Italia è tra le principali destinazioni mondiali per i milionari in movimento e nel 2025 è attesa l’entrata di migliaia di high-net-worth individuals, con Milano come epicentro del flusso. Una parte significativa arriva proprio dalla Francia e dal Regno Unito, attratta non solo dal vantaggio fiscale ma anche da un’imposta di successione più leggera rispetto a Parigi. Non è un caso se nel dibattito politico francese c’è chi accusa Roma di “dumping fiscale”, denunciando la perdita di contribuenti facoltosi verso l’Italia e aprendo un vero contenzioso politico tra i due Paesi.
In parallelo, il settore finanziario si riorganizza. Grandi banche d’investimento e fondi di private equity hanno rafforzato la presenza a Milano, spostando partner e senior banker dalla City e dalla capitale francese verso il capoluogo lombardo. Perché continuare a pagare il conto salato di imposte e costo della vita a Parigi, quando a un’ora e mezza di volo si trova un hub finanziario europeo in crescita, ben collegato e con un regime più prevedibile? Quanto pesa, nelle scelte personali dei manager, la fiscalità rispetto alla carriera o alla qualità della vita?
A Parigi questo si traduce in un vero e proprio movimento sotterraneo: family office, avvocati tributaristi, consulenti patrimoniali che organizzano conferenze, webinar, cene riservate per spiegare come trasferirsi in Italia, quali visti richiedere, come strutturare il patrimonio. Non c’è un marchio ufficiale, ma un messaggio ricorrente: chi può permetterselo dovrebbe almeno considerare Milano come piano B (o, per molti, piano A). È ancora “patriottismo fiscale” restare in Francia, o diventa semplicemente costoso?
Ovviamente non è tutto oro. L’arrivo di capitali stranieri alimenta il boom degli immobili di lusso e la crescita dei canoni, soprattutto a Milano, con tensioni sul mercato delle case per residenti e studenti. In Francia, la fuga di contribuenti ad alta capacità contributiva apre domande serie su gettito, equità e competitività del sistema. Quante risorse fiscali Parigi è disposta a perdere prima di riformare il proprio modello?
La vera domanda, però, è un’altra: questo spostamento dell’élite francese verso Milano è un fenomeno passeggero, legato a una finestra normativa favorevole, o l’inizio di una nuova geografia finanziaria europea con l’asse Parigi–Milano al centro? Per ora una cosa è certa: sempre più ricchi francesi guardano a Milano non come a un weekend di shopping, ma come a un possibile domicilio fiscale.


Paolo D'Ascenzi



