In un mercato che dice di volere consolidamento e trasparenza, a UniCredit è bastato un decreto per capire il contrario.
Un’OPS da 14,6 miliardi si è trasformata in un esercizio teorico: niente contatti con gli azionisti, tempi dilatati, incertezza giuridica.
È questo il modo in cui si costruisce un “campione nazionale” o lo si impedisce?
Eppure la banca guidata da Andrea Orcel macina utili record: perché esporsi a mesi di negoziati al buio?
Il Golden Power doveva essere scudo per gli asset strategici; qui, di fatto, è diventato una clava che ha fatto saltare il tavolo.
Il 22 luglio 2025 UniCredit ha alzato bandiera bianca e ha ritirato l’OPS da 14,6 miliardi su Banco BPM. Motivo ufficiale: la condizione sul Golden Power «non è soddisfatta» e, soprattutto, «impedisce il dialogo con gli azionisti», passaggio basilare in qualsiasi takeover. La mossa arriva poche ore dopo l’ennesima sospensione di 30 giorni decisa da Consob (adesioni ferme attorno allo 0,5%): proroga inutile, quindi.
Perché mollare adesso? Perché il decreto governativo ha trasformato la due diligence in un percorso a ostacoli: contatti con i soci di fatto bloccati, condizioni invasive (tra cui l’uscita accelerata dalla Russia) e un quadro giuridico ballerino, nonostante un parziale successo di UniCredit in tribunale. In queste condizioni, come si misurano davvero sinergie, governance, tempi e rischio esecuzione?
A Bruxelles la storia non piace: la Commissione Ue ha avvertito Roma che il decreto sul caso UniCredit-BPM rischia di violare il diritto europeo; anche interrogazioni parlamentari hanno messo nel mirino l’uso “creativo” dei poteri speciali. Tutelare gli asset strategici è legittimo, ma fino a che punto senza ingessare il mercato dei capitali?
Nel frattempo, nei palazzi della politica continua a circolare l’idea di un “terzo polo” domestico: Banco BPM con MPS. Politica industriale o ingegneria di palazzo? Se un’OPS di mercato non può parlare con gli azionisti, perché un deal sponsorizzato dallo Stato dovrebbe essere più lineare e trasparente?
E UniCredit? Andrea Orcel può permettersi di tornare sul core: semestre record con 6,1 miliardi di utile netto (3,3 nel solo secondo trimestre). Con numeri così, la via maestra diventa continuare a distribuire capitale e guardare a dossier dove la politica pesa meno. Commerzbank torna sul radar, ma anche lì Berlino non è più morbida di Roma.
La morale? Il risiko bancario italiano è prigioniero di norme “elastiche” che cambiano le regole in corsa. Le banche pianificano su anni, i governi su settimane: chi vince? Gli azionisti di BPM non hanno potuto valutare appieno l’offerta; quelli di UniCredit vedono evaporare sinergie potenziali e crescere il costo dell’incertezza normativa.
Domanda finale, inevitabile: vogliamo davvero un mercato europeo del credito che consolidi per efficienza e capitale, o continueremo a usare il Golden Power come cartellino rosso per fermare ogni partita scomoda? Se è la seconda, il caso UniCredit-BPM non è un incidente: è il nuovo standard.