Il regime agevolato previsto dall’articolo 24-bis del TUIR, introdotto con la legge di bilancio 2017, consente a chi trasferisce la residenza fiscale in Italia di pagare un’imposta fissa annuale sui redditi prodotti all’estero. La somma, inizialmente pari a 100 mila euro, è stata portata a 200 mila euro a partire dal 2024. L’obiettivo è attirare soggetti con patrimoni elevati provenienti da altri Paesi. Secondo il referto 2025 della Corte dei Conti sul sistema tributario, le adesioni sono in costante aumento. I dati evidenziano una crescita significativa soprattutto nelle grandi città e in alcune aree costiere, considerate attrattive per stile di vita e vantaggi fiscali. Tuttavia, mancano strumenti adeguati per misurare l’impatto concreto di questa misura sull’economia italiana.
Tracciabilità assente, effetti non misurati
Nel suo rapporto, la Corte segnala che non ci sono dati sulla permanenza effettiva dei nuovi residenti, né informazioni su investimenti, attività economiche avviate o impatto sul gettito indiretto. L’imposta si applica a prescindere dal reddito estero effettivo, senza limiti minimi e senza obblighi di reinvestimento in Italia. I soggetti che aderiscono non sono tenuti a dimostrare alcun contributo concreto all’economia del Paese, né sono previsti controlli sull’attivazione di iniziative produttive o imprenditoriali. Il regime garantisce entrate certe attraverso il versamento della tassa fissa, ma non consente di valutare se generi benefici reali su occupazione, consumi o sviluppo locale. In assenza di una rendicontazione strutturata, non è possibile stimare il ritorno fiscale complessivo, né quantificare l’effetto moltiplicatore sul sistema economico.
Settori coinvolti e dinamiche territoriali
Si prevedono ripercussioni su diversi settori come quelli immobiliari, della consulenza, dei servizi professionali e fiscali, dove operano numerosi liberi professionisti e microimprese. Soggetti con elevata capacità di spesa possono generare domanda aggiuntiva, ma al momento i dati ufficiali in grado di documentare l’attivazione di rapporti economici diretti risultano assenti. La Corte rileva la mancanza sia di un monitoraggio sul coinvolgimento delle realtà economiche che la verifica sulle interazioni con il tessuto produttivo italiano. Anche le partite IVA, che operano in molti di questi ambiti, restano escluse da un’analisi strutturata sugli effetti indiretti della misura. Per questo motivo, i giudici contabili invitano nel referto a introdurre strumenti di valutazione più precisi e aggiornati, utili a comprendere se e come il regime fiscale stia producendo benefici oltre quelli individuali.