News | 10 luglio 2025, 12:00

Chiara Tilesi: Il futuro di essere Donna

Raccontare il mondo femminile lontano dagli stereotipi

Chiara Tilesi, imprenditrice e produttrice fiorentina, si racconta al termine della presentazione del suo primo libro Ciro - Il bambino dell’isola tenutasi nella suggestiva cornice della Sala del Carroccio in Campidoglio, a Roma. Un debutto letterario importante, edito da Armando Editore, che inaugura la collana Voci di donne, dedicata a narrazioni femminili capaci di ispirare, rompere schemi e aprire orizzonti.
Chiara arriva con passo lieve, sorriso sincero e occhi celesti che sembrano contenere al tempo stesso cielo e lotta. Dolce e riflessiva, porta con sé un’eleganza che non è solo estetica, ma profondamente interiore. Dietro una fragilità solo apparente, rivela una forza lucida, una determinazione calma ma incrollabile. Non urla, Chiara. Non impone. Ma afferma a testa alta. Il suo impegno è chiaro: essere tra le donne e per le donne. Cambiare la narrazione del femminile, combattere – con la grazia di un’amazzone – l’idea che la fragilità sia un limite, anziché una forma di potere. In questa intervista ci apre il suo mondo, fatto di visione, coraggio e di una missione che attraversa i confini dell’impresa, dell’arte e della cultura.

Il Suo percorso si muove tra Los Angeles e Firenze. In che modo queste due città l’hanno influenzata come imprenditrice?
Vivo tra Firenze e Los Angeles. Sono fiorentina di nascita. Firenze è famiglia, è il  posto del cuore, è la città che  custodisce i ricordi, la mia formazione. Los Angeles è la città dei sogni, del futuro, il luogo dove tutto è possibile. Mi sono trasferita per frequentare l’università ed ho scoperto una mentalità completamente diversa. In Italia non si insegna ai giovani a credere nei propri sogni, mentre  questo concetto in America è centrale ed, indipendentemente dalla tua origine, dall’estrazione sociale, puoi farcela. Avevo idee forti, ero disposta a lavorare duramente, cosi ho costruito la mia carriera.

Quali sono le sfide più grandi per un’imprenditrice italiana all’estero, soprattutto nel mondo creativo e culturale?
La prima sfida è lo shock culturale. Avevo 18 anni quando mi sono trasferita a Los Angeles, completamente da sola, senza amici né famiglia, per iniziare il mio percorso universitario. Mi sono ritrovata in una metropoli sconfinata, frenetica e cosmopolita. Ho vissuto nei dormitori dell’università, condividendo gli spazi con colleghi provenienti da ogni parte del mondo. Per me, cresciuta con la cucina italiana come unico riferimento: improvvisamente mi sono trovata a tavola con sushi e tacos. Un dettaglio apparentemente banale, ma che rifletteva una trasformazione molto più profonda: stavo entrando in un mondo nuovo, fatto di abitudini, valori e ritmi diversi. La seconda sfida è stata il senso di estraneità. Per quanto Los Angeles sia una città aperta e multiculturale, non sei mai del tutto “americana”. Ti costruisci tutto da sola: relazioni, contatti. Bisogna essere coraggiosi, determinati e imparare a fare i conti con la solitudine. Los Angeles è la città delle opportunità, ma è anche la città delle prove. Ogni spostamento richiede tempo, ogni relazione va coltivata con pazienza, ogni conquista va guadagnata. Los Angeles è futuro non famiglia.

Cosa significa per Lei fare impresa al femminile? È ancora un concetto necessario?
Siamo tornati indietro di vent’anni. La disparità di genere non solo persiste, ma peggiora. E il prezzo più alto lo pagano sempre le donne. Negli ultimi cinque anni abbiamo rallentato in modo drammatico. Se prima si stimava che ci sarebbero voluti 100 anni per colmare il divario di genere a livello globale, oggi ne servono 300. Tre secoli. Tredici generazioni. Questo significa che, continuando di questo passo, le bambine che nascono oggi avranno le stesse opportunità degli uomini solo tra trecento anni. È uno scenario inaccettabile. Nel mondo delle imprese, poi, il progresso è lentissimo. Prendiamo un dato concreto: le donne amministratrici. Dopo anni di immobilismo, siamo passati dall’8% al 10%. Un misero +2% che ci siamo anche sentiti in dovere di festeggiare, dimenticando che le donne rappresentano il 51% della popolazione. E non è tutto. C’è ancora il tetto di cristallo. C’è ancora il gender pay gap. A parità di ruolo, competenze e responsabilità, una donna nel mondo guadagna dal 20% al 30% in meno rispetto a un uomo. È la regola, non l’eccezione. Serve un cambio radicale. Serve adesso. Empowerment femminile significa azione quotidiana, significa visione, significa rompere stereotipi e cambiare la narrativa. Perché non c’è niente di sbagliato nelle donne: il problema è come vengono rappresentate. Da oggetti a soggetti. Da comparse a protagoniste. Non c’è più tempo da perdere.

Quanto conta oggi il networking internazionale e come si costruisce in modo autentico?
Oggi il networking internazionale è fondamentale. Viviamo in un mondo globalizzato, dove i confini commerciali e culturali sono sempre più sfumati. A differenza del passato, in cui ogni Paese aveva prodotti e riferimenti esclusivi, oggi tutto è accessibile ovunque e in tempo reale. Per questo, non possiamo più lavorare pensando solo al nostro territorio: dobbiamo pensare, parlare e agire in chiave globale. Costruire un networking autentico significa conoscere più lingue, ma anche sviluppare una cultura internazionale, senza perdere l’identità. Il vero valore sta proprio qui: avere uno sguardo ampio e radici italiane, portando nel mondo ciò che ci rende unici — moda, cibo, design, musica, arte.

Qual è la Sua missione oggi come imprenditrice e donna di cultura?
Il mio impegno è contribuire a una rivoluzione culturale che restituisca pieno valore al femminile. Bisogna prendere per mano le donne e gli uomini e lavorare insieme. Il cambiamento di paradigma deve essere condiviso, profondo e collettivo. Per troppo tempo le donne sono state educate a sentirsi “meno”, a temere la propria indipendenza, a ridimensionare le proprie ambizioni. È il momento di spezzare questo condizionamento e affermare con forza che l’indipendenza economica, la leadership e la libertà di scegliere sono diritti fondamentali. Una donna realizzata non è una minaccia, bensì un bene per la famiglia, per la comunità. Il mio impegno quotidiano è trasformare la paura in rispetto, l’abitudine in coscienza, il silenzio in voce. Perché una donna libera migliora il mondo.

Se potesse lasciare un messaggio a una giovane donna che vuole partire da zero?
Credere rigorosamente in se stesse, anche quando l’unica a farlo sei tu. La forza di un progetto non si misura dal numero di consensi iniziali, bensì dalla volontà di chi lo alimenta. La filosofia è semplice: ogni “no” è parte integrante del percorso verso il “sì”. Non sono gli ostacoli a definire il nostro valore, ma la capacità di trasformarli in spinta. Quando una porta si chiude, qualcosa di positivo sta arrivando. Ho ricevuto numerosi rifiuti ed ogni volta li ho accolti con un sorriso — avrei brindato, se non fossi astemia.

Stefano Farinetti