News - 25 dicembre 2025, 10:00

La fedeltà bancaria che costa cara a famiglie e imprese

I dati Bankitalia sui conti correnti mostrano come restare con lo stesso istituto comporti spese più elevate nel tempo

La fedeltà bancaria che costa cara a famiglie e imprese

Restare fedeli alla propria banca non sempre conviene. È quanto emerge dall’ultima indagine della Banca d’Italia sui costi dei conti correnti, pubblicata nel 2025 e riferita alle spese sostenute nel 2024. Lo studio, basato sugli estratti conto inviati ai clienti, mostra un aumento generalizzato dei costi di gestione, con dinamiche che interessano non solo le famiglie, ma anche professionisti e piccole imprese che utilizzano il conto come principale strumento operativo.
Nel 2024 la spesa media complessiva per un conto corrente intestato a persone fisiche è salita a 101,1 euro annui, in lieve aumento rispetto ai 100,7 euro del 2023. Ancora più significativo è il divario legato all’anzianità del rapporto: il conto aperto da meno di un anno ha una spesa media di 58,8 euro, mentre per quelli aperti da oltre dieci anni il costo medio raggiunge 122,3 euro.

Costi in crescita e differenze nel tempo
L’analisi di Bankitalia evidenzia una contrazione delle spese fisse, scese a 65,4 euro grazie alla riduzione dei canoni di base e di quelli legati alle carte di debito. Tuttavia, questo calo è stato compensato dall’aumento delle commissioni sulle operazioni, che nel 2024 hanno raggiunto una media di 35,7 euro. Un dato che riflette una maggiore operatività dei correntisti, ma anche una strategia degli istituti orientata a incrementare i ricavi attraverso l’uso dei servizi.
Il fenomeno riguarda anche i conti BancoPosta, dove la spesa media annua è salita a 71,6 euro, contro i 53,6 euro registrati nel 2014. Il dato evidenzia come il costo del conto tenda ad aumentare con il passare degli anni.

Commissioni e modifiche contrattuali
Negli ultimi mesi alcune banche hanno comunicato modifiche unilaterali alle condizioni contrattuali, introducendo o aumentando gli addebiti per specifiche tipologie di pagamenti, come rimborsi di finanziamenti, premi assicurativi ricorrenti e servizi digitali. Le motivazioni addotte fanno riferimento all’aumento dei costi operativi legati alla diffusione di strumenti di pagamento automatizzati.
Parallelamente, si registra una pausa nell’ondata di rialzi dei canoni osservata negli anni precedenti, giustificata prima dai tassi negativi e poi dall’inflazione. Venute meno queste condizioni, le precedenti riduzioni non sono state ripristinate. Il quadro che emerge dall’indagine è quello di un sistema in cui la durata del rapporto bancario incide in modo rilevante sulla spesa sostenuta, rendendo la fedeltà un fattore spesso penalizzante sotto il profilo economico.

Mario Gentile

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