Da qualche mese la narrativa è semplice: “AI = rialzo”. Ma i mercati, come sempre, non premiano una storia in eterno. Una tabella circolata sui desk (Deutsche Bank) fotografa bene il cambio di umore: dopo guadagni fuori scala nei primi 11 mesi dell’anno, da fine ottobre molte azioni “AI-related” hanno iniziato a restituire terreno. E la cosa interessante è che non lo vedi subito guardando solo l’indice.
Il paradosso è qui: l’S&P 500, misurato tramite l’ETF SPY, da fine ottobre ha perso meno dell’1% (circa -0,8% tra il close del 31/10 e i livelli di metà dicembre). Nel frattempo, l’esposizione dei “Mag 7” (7 Giganti tecnologici americani) è scesa di circa il 3–4% rispetto ai livelli di fine ottobre. Quindi: mercato quasi fermo, leadership che scricchiola. Non è una correzione “di indice”, è una correzione “di superficie”, di ampiezza e di titoli.
Perché succede? Perché l’AI trade aveva compresso troppe aspettative in pochi nomi. Quando la domanda diventa “quanto guadagnerete davvero e quando?”, la pazienza si accorcia. Negli ultimi mesi sono tornate due paure molto concrete: capex enormi (data center, energia, chip) e tempi lunghi di monetizzazione. Se gli investitori iniziano a vedere l’AI più come “costo oggi, ricavo domani”, la valutazione si ricalibra.
In questo scenario, l’eccezione che spicca è Google/Alphabet: dal 27/10 al 18/12 il titolo è salito di circa il 12% (in linea con l’ordine di grandezza del +13% citato nella stessa analisi). Perché proprio Google? Perché ha due “motori” che ammortizzano: pubblicità (cash flow immediato) e cloud (domanda AI in crescita). E quando l’AI smette di essere solo “vision” e torna a essere “conti”, la solidità pesa.
La domanda, adesso, è scomoda ma utile: se l’AI non può più essere comprata “a pacchetto”, quali pezzi valgono davvero il prezzo? Chi ha margini, ricavi ricorrenti e potere di prezzo? E chi invece vive di narrazione, dipendendo da un ciclo di spesa che può essere rimandato?
Non significa che il tema AI sia finito. Significa che sta maturando: dal “tutti dentro” alla selezione, dal beta al rischio specifico. E per l’investitore questa è una buona notizia, anche se fa male nel breve: quando un trade si raffredda, torna possibile fare analisi, non solo inseguire.
Da qui in avanti, più che chiedersi “l’AI tornerà?”, la domanda è: “quale AI?”. Monitorare la dispersione tra titoli (non solo l’indice), le revisioni degli utili, le guidance su capex e perfino i vincoli fisici (energia e infrastrutture) diventa parte dell’analisi. Perché in Borsa non vince la tecnologia più brillante: vince quella che trasforma spesa in profitti, prima degli altri.




