Per anni l’ETF è stato sinonimo di replica passiva: costi bassi, massima trasparenza, aderenza all’indice. Nell’ultimo anno, però, gli attivi hanno invaso i listini. Negli Stati Uniti, la quota di nuovi lanci è dominata dagli ETF attivi (oltre l’80% dei debutti 2025) e una fetta rilevante dei flussi si è spostata su questi veicoli: segnale che il formato “ETF + gestione” sta convincendo emittenti e investitori. Perché? Efficienza fiscale e negoziazione intraday, senza rinunciare alla discrezionalità del gestore.
Il rovescio della medaglia sono i costi: in Europa un azionario attivo in media sta tra 0,20% e 0,60% TER, sopra molti cloni passivi large-cap sotto 0,20%. La differenza sembra piccola, ma a orizzonti pluriennali erode rendimento. E allora la domanda è: il gestore genera abbastanza extra-rendimento (netto di costi) da giustificare il sovrapprezzo?
Sul fronte dei risultati, l’evidenza è mista. In fasi direzionali forti l’attivo può sovraperformare di poco (anche grazie a scelte settoriali o all’uso di cassa/opzioni), ma la persistenza dell’alpha resta il vero punto critico. In mercati laterali o con alta dispersione, la selezione titoli può pesare di più; tuttavia il rischio è pagare “stile” anziché pura abilità. Qui la disciplina di processo e la trasparenza del mandato contano più del nome in copertina.
E in Europa? L’offerta cresce: grandi case americane stanno sbarcando con gamme attive e costi competitivi, segno che lo spazio non è più di nicchia. Parallelamente, gli investitori continentali nel 2025 hanno dirottato capitali record su ETF “locali”, riducendo la dipendenza dai listini USA: un vento favorevole anche per i nuovi prodotti attivi europei.
L’Italia è un laboratorio interessante: su ETFplus gli strumenti quotati hanno superato quota 2.100 e gli asset sono arrivati intorno a 175 miliardi di euro a fine settembre 2025. Nei mesi estivi si sono visti più debutti “Active” (J.P. Morgan, Fineco, ecc.), a conferma che l’offerta domestica sta accelerando. Ma la massa resta concentrata su grandi indici passivi: l’attivo è in crescita, non ancora dominante.
Esempi? Il lancio del JPMorgan Active High Yield ETF con dote iniziale miliardaria e il successo degli “income premium” mostrano dove l’attivo trova terreno fertile: credito e strategie con overlay di opzioni, dove la gestione può fare davvero la differenza. Ma senza track record solido e controllo dei costi il rischio di pagare caro un beta “camuffato” è concreto.
La sintesi operativa è semplice: 1) usa gli ETF passivi come spina dorsale (core) del portafoglio; 2) valuta gli attivi come “satellite” solo dove esiste un chiaro vantaggio informativo/operativo (credito, nicchie meno efficienti, strategie di income); 3) verifica mandato, TER, capacità e coerenza con l’indice di riferimento. L’obiettivo non è “attivo vs passivo”, ma costo del rischio per unità di risultato. Sei davvero disposto a pagare per deviare dal benchmark… e per quanto tempo?




