Il piano predisposto inizialmente da Adolfo Urso, Ministro delle imprese e del Made in Italy, denominato Piano transizione 5.0 è risultato totalmente inefficiente dalla sua pianificazione alla sua attuazione. È una misura di politica industriale funzionale nel sostenere le imprese nella loro attuazione e transizione green e digitale. Le agevolazioni del piano sono destinate a tutti quegli investimenti che vengono effettuati dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2025 in beni che comportano la riduzione energetica, consumi nella struttura produttiva, o del 5% in processi produttivi coinvolti. Tutto ciò include macchinari, fonti rinnovabili, software, tecnologie IoT e di sensoristica e sistemi di monitoraggio di efficienza energetica.
Le criticità del piano
Il Piano Transizione 5.0 ha evidenziato diverse criticità di natura normativa e procedurale che ne hanno ostacolato l’efficacia. Il ritardo nell’emanazione del decreto attuativo (febbraio–agosto 2024) ha comportato una partenza tardiva, aggravata da una disciplina complessa e in continua revisione. Particolarmente penalizzante è risultata la definizione dello scenario controfattuale richiesto per misurare i risparmi energetici: le imprese devono individuare almeno tre beni alternativi disponibili da cinque anni, calcolando la media dei loro consumi annuali. In pratica, tali dati non sono reperibili, e molte aziende hanno rimosso i datasheet dei propri prodotti per evitare confronti sfavorevoli. Inoltre, l’obbligo di analizzare i processi impianto per impianto ha aumentato i tempi di valutazione, rendendo più difficile rispettare la scadenza del 31 dicembre 2025. La necessità di prenotare il credito d’imposta in fase ex ante, quando il progetto è ancora incompleto, ha aggiunto ulteriore complessità, con possibili variazioni tra il credito prenotato e quello effettivo.
Fondi Bloccati
Queste inefficienze hanno avuto un impatto diretto sull’utilizzo delle risorse. A fronte di 6,3 miliardi di euro stanziati, all’11 aprile 2025 risultano prenotati circa 690 milioni, meno del 10% del totale. Di questi, solo una parte ridotta è stata effettivamente allocata nel cassetto fiscale delle imprese, con una quota “congelata” nella fase preliminare e soggetta a possibili riduzioni. Nei primi tre mesi dall’avvio, le prenotazioni di crediti d’imposta si erano fermate a 99 milioni, pari all’1,6% delle risorse disponibili, segnale di una misura inizialmente priva di attrattività. Anche con le modifiche approvate dalla Commissione Europea (semplificazione dei calcoli, possibilità di cumulo con altri incentivi, aliquota unica per investimenti fino a 10 milioni e maggiorazioni per fotovoltaico UE), il meccanismo resta rallentato dalla struttura procedurale. In assenza di una proroga oltre il 2025, l’attuale rigidità temporale rischia di lasciare inutilizzati miliardi di euro, compromettendo l’impatto della misura sulla transizione energetica e digitale del sistema produttivo italiano.
Il piano Transizione 5.0 ad oggi risulta un fallimento, un blocco di fondi fondamentali per le imprese che perseguono la duplice transizione e che necessitano quei fondi per il loro rilancio tecnologico.