Bentornati a un nuovo appuntamento con la nostra rubrica dedicata al Turismo.
Oggi vi porteremo alla scoperta di una figura sempre più centrale nel panorama dei viaggi contemporanei: il turista-lavoratore 2.0. Non parliamo del classico viaggiatore, ma di qualcuno che ha fatto della mobilità una scelta di vita, spostandosi da una città all’altra per lavorare da remoto, dove e quando vuole.
Un modo di viaggiare e vivere che sta rivoluzionando il turismo come lo conoscevamo, influenzando profondamente destinazioni, servizi e stagionalità.
C’è una nuova categoria di viaggiatori che sta rivoluzionando il settore turistico in tutto il mondo. Non sono turisti nel senso classico, ma vivono spostandosi tra città, Paesi e continenti, con il laptop nello zaino come compagno di viaggio imprescindibile, sono i nomadi digitali. Secondo le ultime stime, la comunità globale supera i 35 milioni di persone e genera un valore economico annuo pari a circa 787 miliardi di dollari.
Chi sono i nomadi digitali?
Dietro questa definizione si cela una varietà di profili professionali accomunati dalla possibilità di lavorare da remoto. Si va dai freelance nel settore creativo e digitale ,come grafici, copywriter, sviluppatori o marketer, passando dagli imprenditori online, con agenzie o startup digitali, fino ai dipendenti in smart working per aziende che promuovono il lavoro flessibile. Una parte consistente è costituita anche da creatori di contenuti, blogger, youtuber, influencer. Il loro lavoro si svolge interamente o prevalentemente online, in ambiti come lo sviluppo software, il marketing digitale, la scrittura, la consulenza o la vendita di prodotti e servizi digitali.
I nomadi digitali vivono in modo itinerante, scegliendo le loro destinazioni in base a fattori come il costo della vita, il clima e la presenza di una comunità internazionale attiva. Località come Bali, Lisbona, Chiang Mai e Città del Messico sono diventate veri e propri hub per questa categoria. Lavorano da caffè, appartamenti in affitto, spazi di coworking o strutture di coliving, e organizzano le proprie giornate alternando lavoro e scoperta culturale, con una permanenza media di circa 5 mesi per località.
Questo stile di vita offre una straordinaria libertà geografica, la possibilità di scoprire il mondo e, per molti, un migliore equilibrio vita-lavoro. Ma non è privo di difficoltà, infatti può portare a isolamento sociale, instabilità abitativa e complessità fiscali e burocratiche.
Negli Stati Uniti, i nomadi digitali sono passati da 10,9 milioni nel 2020 a oltre 18 milioni nel 2024, con un aumento del 131% rispetto al 2019. Il profilo medio è quello di un lavoratore di 36 anni, con un reddito annuo di 85.000 dollari e un elevato livello di istruzione (oltre il 70% ha almeno una laurea).
Anche l’Italia partecipa alla crescita del fenomeno, infatti, secondo il Terzo rapporto 2023 dell’Associazione Italiana Nomadi Digitali, gli italiani rappresentano circa l’1% della popolazione globale, ovvero 1,44 milioni di persone, con una presenza femminile superiore alla media internazionale.
Come stanno cambiando il turismo
Anche se i nomadi digitali non si considerano turisti, il loro stile di vita da “viaggiatori-lavoratori” sta avendo un impatto profondo sul settore turistico, modificando dinamiche economiche, infrastrutture e strategie di promozione. L’influenza maggiore risulta coprire fattori quali la stagionalità, infatti, viaggiando tutto l’anno, i nomadi digitali estendono la stagionalità turistica, portando flussi di visitatori anche nei mesi considerati “bassa stagione”. Non solo, questi lavoratori itineranti prediligono affitti medio-lunghi, coliving e soluzioni flessibili rispetto al classico soggiorno breve. Ciò ha spinto molti proprietari a convertire gli appartamenti da affitti residenziali a uso turistico prolungato, alzando i canoni e riducendo la disponibilità per i residenti locali. Inoltre, sempre più città si promuovono non solo come mete da visitare, ma come luoghi ideali per vivere e lavorare. Nascono visti per nomadi digitali, eventi internazionali (Nomad Fest o Running Remote) e servizi dedicati a questa community, come coworking, spazi ibridi, eventi di networking.
I nomadi digitali tendono a evitare i luoghi sovraffollati, preferendo aree tranquille e meno turistiche. Questo ha portato alla necessità di operare una rivalutazione urbanistica delle zone periferiche o rurali. Per quanto riguarda la spesa i nomadi digitali incidono diversamente dai turisti tradizionali, infatti prediligono meno i musei e le attrazioni, ma spendono maggiormente nei caffè, spazi di lavoro condivisi, ristoranti locali e mobilità urbana. Questo diversifica l’economia locale e apre nuove opportunità per il settore privato. È chiaro quindi che le metriche classiche (numero di pernottamenti o arrivi) non bastano più. Si cominciano a misurare parametri come la durata media del soggiorno, il numero di visti per lavoratori da remoto e la presenza di residenti temporanei. È una vera e propria ridefinizione del concetto di turismo