Dopo la recente escalation del conflitto israeliano con l’Iran, in cui gli USA sono intervenuti attaccando i siti nucleari iraniani, facendo tremare il mondo intero di fronte alla sostanziale probabilità di propagazione dello scenario bellico, il Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale in Iran, che opera sotto l’autorità diretta della Guida Suprema, Ali Khamenei, ha fatto a sua volta rabbrividire i mercati economici e finanziari con la proposta, approvata all’unanimità, di bloccare lo Stretto di Hormuz come misura di ritorsione contro gli attacchi di Israele e Stati Uniti ai siti nucleari del Paese.
Ma quale sarebbe l’impatto della chiusura dello Stretto di Hormuz?
Il blocco totale o parziale dello Stretto, localizzato tra le coste dell’Iran e dell’Oman, lungo circa 150 km e largo appena 34 km nel suo punto più stretto, che collega il Golfo Persico con il Mare Arabico e il Golfo dell’Oman, significherebbe una catastrofe per l’economia globale.
Infatti, secondo la U.S. Energy Information Administration, dal passaggio marittimo dello Stretto di Hormuz transita circa il 20% della domanda mondiale di petrolio – un quinto del volume totale del consumo globale – e oltre un quarto delle esportazioni mondiali di gas naturale liquefatto, facendone una delle rotte commerciali più strategiche al mondo e il tratto di mare più trafficato.
Basti pensare che solo nel periodo gennaio–settembre 2024 vi hanno transitato in media 20,5 milioni di barili di greggio, condensati e prodotti petroliferi al giorno. A esportare attraverso Hormuz sono soprattutto Arabia Saudita, Iran, Iraq, Kuwait, Qatar ed Emirati Arabi, tutti membri dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC). A importare, invece, sono le grandi economie asiatiche: Cina, India, Giappone e Corea del Sud, che rappresentano il 70% di tutto il flusso petrolifero dello Stretto nel 2024. Anche l’Europa, seppur in misura minore, è coinvolta. Una ipotetica crisi del mercato asiatico scatenerebbe un effetto domino inevitabile su tutto il sistema mondiale.
La chiusura, anche per un tempo limitato, in un mondo globalizzato, avrebbe un impatto devastante ovunque: ci sarebbe un’impennata dei prezzi del greggio, rischio di carenze energetiche, incremento dei costi industriali e nuova pressione inflazionistica in economie già fragili, come in Europa. Anche lo stesso Iran, al di là dell’utilizzo della minaccia di blocco come arma di potere nelle negoziazioni geopolitiche, per la sua posizione strategica nella geografia medio-orientale che funge da controllo commerciale nella zona nord dello Stretto di Hormuz, ne subirebbe le conseguenze negative, essendo uno dei principali esportatori. Infatti, la sola minaccia di chiusura nei giorni successivi all’attacco israeliano in Iran ha fatto salire il prezzo del greggio dal 7% al 10%, con picchi di 100 dollari al barile.
Nel più estremo dei casi, anche se improbabile, la chiusura dello Stretto di Hormuz – approvata ma non applicata, almeno per ora, dal Parlamento iraniano – grazie anche al cessate il fuoco tra Israele e Iran entrato in vigore lo scorso martedì, farebbe schizzare il prezzo del greggio anche a 200 dollari al barile.
Ma che ripercussioni ci possono essere per l’Italia?
Secondo i dati pubblicati dall’ISTAT, relativi ai soli principali partner commerciali extra UE dell’Italia, nel 2024 sono stati esportati beni per 305,3 miliardi di euro, con un incremento dell’1,16% in valore rispetto al 2023. Si tratta del valore più alto raggiunto dalle esportazioni italiane verso i Paesi extra UE negli ultimi dieci anni. Tra le esportazioni in diversi Paesi figurano anche i Paesi OPEC (+6,6%) e il Medio Oriente (+5,5%), dove ha luogo il conflitto israelo-palestinese. L’interscambio di import ed export di materie prime e semilavorati raggiunge i 32,6 miliardi di euro; pertanto, di fronte a un probabile blocco dello Stretto si rischia di mettere in crisi diversi settori.
Sebbene l’Europa, inclusa l’Italia, faccia meno affidamento sulle risorse energetiche che passano attraverso Hormuz rispetto ai mercati asiatici, potrebbe comunque subire ripercussioni drammatiche dall’aumento dei costi globali del petrolio e del gas. L’Italia rischia un calo del 20% di gas e del 30% di petrolio. “Le forniture alternative ci sono, ma pagheremmo prezzi più alti e saremmo esposti a dinamiche speculative”, sono le dichiarazioni fatte dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, che continua: “Il governo studia misure d’emergenza, tra cui disaccoppiare il prezzo del gas da quello dell’elettricità, offrire alle imprese sconti con restituzione dilazionata e autorizzare contratti a termine”.
Più complessa, invece, l’ipotesi di un coordinamento europeo sui mercati energetici, vista la diversità tra gli Stati membri. Dal punto di vista bellico, l’Italia è in massimo stato d’allerta per quanto riguarda la possibile minaccia di terrorismo alle basi navali americane in territorio italiano, dopo l’intervento militare degli USA in Iran. Oltre 29.000 obiettivi sensibili sono stati sottoposti a vigilanza: tra questi, oltre 10.000 sono infrastrutture critiche e circa un migliaio riguardano interessi statunitensi e israeliani.
Nota
Negli ultimi 46 anni, a partire dai turbolenti anni della sanguinosa guerra contro l’Iraq (1980-88), da quando nel 1979 è cambiato il potere a Teheran, in circa 20 occasioni l’Iran ha minacciato di chiudere lo Stretto, che finora non è mai stato chiuso.
“La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire.”
— Albert Einstein