News - 27 giugno 2025, 15:00

Bitcoin alla prova dei debiti: può la criptovaluta diventare la nuova riserva mondiale?

Brian Armstrong (Coinbase) lancia l’allarme: debito, inflazione e libertà economica in declino richiedono un sistema monetario alternativo.

Bitcoin alla prova dei debiti: può la criptovaluta diventare la nuova riserva mondiale?

«Il mondo ha bisogno delle criptovalute, ora più che mai». Con questo tweet del 20 giugno Brian Armstrong ha riacceso un dibattito che serpeggiava da mesi: se il debito pubblico continua a correre e l’inflazione erode il potere d’acquisto, quale moneta potrà reggere il peso delle transazioni globali? 

Le cifre, del resto, parlano chiaro. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che il debito pubblico mondiale toccherà il 95 % del PIL nel 2025 e potrebbe sfondare quota 100% entro la fine del decennio, superando il picco post-pandemia. Paesi come l’Argentina hanno già sperimentato cosa significhi convivere con un’inflazione a tre cifre (oltre il 200 % lo scorso anno). 

Non stupisce allora che Bitcoin, stabilmente sopra i 100 000 $, stia attirando chi cerca riparo dall’erosione valutaria. È davvero solo una bolla o, come insinua il CEO di Coinbase, un nuovo «oro digitale» in grado di fare da contrappeso alla spesa in deficit? 

Armstrong spinge oltre: se i governi non rimetteranno in ordine i conti, il mercato potrebbe eleggere in modo spontaneo una valuta neutrale e matematica come Bitcoin a nuova unità di conto internazionale. Nel frattempo, le stablecoin — il «contante» del Web3 — crescono di circa il 50 % su base annua e iniziano a contendersi i pagamenti quotidiani.  Chi immaginava un mondo senza banche centrali si ritrova così tra le mani l’abbozzo di un sistema monetario parallelo, regolato da algoritmo e consenso distribuito.

Ma quante sono le incognite? Volatilità, consumo energetico, rischi regolamentari: tre ostacoli che nemmeno i die-hard bitcoiner possono ignorare. Gli scettici ricordano che nessuna riserva globale ha mai oscillato del 10 % in un giorno e che, in assenza di una «rete di protezione» pubblica, panico e speculazione potrebbero innescare corse al ribasso devastanti. 

Eppure la domanda resta sospesa: meglio affidarsi a valute sovrane sostenute da governi iper-indebitati o scommettere su un protocollo che non promette salvezza ma trasparenza? Bitcoin, con il suo tetto di 21 milioni di unità, non può essere gonfiato a piacere; tuttavia, non garantisce un prestatore di ultima istanza, né un paracadute sociale in tempi di crisi. E qui il dilemma si fa politico prima ancora che tecnologico: siamo davvero pronti a cedere la leva monetaria, strumento-chiave di ogni governo, dall’inflazione “programmata” alla gestione della disoccupazione, a una blockchain che obbedisce soltanto a un algoritmo immutabile? Oppure preferiamo continuare a tollerare deficit cronici, rinviando il conto alle future generazioni, in cambio della flessibilità di intervento che una banca centrale può assicurare? La scelta, in fondo, non è solo tra dollari e satoshi: è tra due visioni opposte di sovranità, fiducia e responsabilità nel XXI secolo.

Se la storia insegna che le riserve cambiano quando il potere economico si sposta, il 2025 potrebbe essere ricordato come l’anno in cui un tweet ha incrinato l’egemonia del dollaro. La partita è appena cominciata — e non si gioca soltanto nei consigli di amministrazione: si gioca, blocco dopo blocco, nel ledger pubblico di Bitcoin.

Paolo D'Ascenzi

SU