Nel pieno della stagione delle grandi manovre del credito, la Consob è sommersa da 52 esposti presentati dagli stessi istituti protagonisti del risiko bancario. Lo ha rivelato Paolo Savona nel suo discorso annuale, ammettendo «difficoltà di dialogo» con la BCE proprio mentre i mercati corrono. Quanto è sostenibile una vigilanza nazionale che non riesce a sincronizzarsi con Francoforte?
Il dato nasce da sei OPA o OPS lanciate dalla seconda metà del 2024, inclusa l’offerta all-share con cui UniCredit mira a Banco BPM. In assenza di patti preliminari, i contendenti si sono riversati sulla Commissione per dirimere dubbi su prezzo e tempistiche, generando 52 reclami e spingendo gli uffici a esercitare 63 volte i poteri ispettivi dell’art. 115 TUF e nove quelli informativi dell’art. 114. Non è forse il segno che la contendibilità, senza trasparenza preventiva, diventa litigiosità?
La complessità aumenta perché le operazioni usano scambi di azioni dal valore fluttuante giorno per giorno. Savona teme che ogni minuto di ritardo nella condivisione dei dati amplifichi il rischio di insider trading e di arbitraggio. E se gli investitori esteri, sempre più determinanti nei book italiani, decidessero di uscire all’improvviso?
Su questo terreno si innesta il “golden power” invocato dal governo sul caso UniCredit-BPM: uno strumento pensato per la sicurezza nazionale che oggi diventa leva negoziale. Paradosso o doppio standard? L’Unione bancaria chiede integrazione, mentre gli Stati riscoprono barriere selettive. Chi farà da arbitro nei prossimi matrimoni del credito?
Nel frattempo la Commissione lavora. Savona sottolinea che i risultati delle indagini restano riservati, ma l’entità dei reclami porta con sé un rischio operativo: se i chiarimenti arrivano a mercati già mossi, chi ripaga il retail di un eventuale scivolone dei corsi? È realistico pensare di portare un trader in tribunale quando il book è già evaporato?
La ricetta proposta è rafforzare il memorandum d’intesa con la BCE e fissare finestre di risposta rapida. Basterà? La storia insegna che poche ore di asimmetria informativa possono costare milioni. Senza un’armonizzazione vera, l’Italia rischia di pagare un doppio prezzo: procedure più lente e reputazione appannata. La domanda finale è la più scomoda: riusciremo a passare da 52 esposti a quota zero prima che parta il prossimo round di OPA?