Daniele Ancarani designer ed imprenditore, nel suo Atelier di Roma in via Mario dé Fiori, racconta la nascita del suo marchio: “la sfida di creare calzature femminili comode e raffinate, pensando ad una donna che desidera uno streetwear sofisticato”.
Ancarani ha fatto del gusto misurato e dell’equilibrio delle forme il proprio tratto distintivo. Le sue boutique oggi sono presenti a: Bologna, Milano, Firenze, Roma, Catania e Sofia in Bulgaria.
Come è iniziata la sua carriera?
Finito il liceo a Milano ho iniziato a frequentare l’università di Giurisprudenza. Mentre studiavo ho deciso di non pesare economicamente sulla famiglia e di trovare un lavoro che mi permettesse di guadagnare durante il periodo estivo. Sono stato assunto da una azienda che produceva tacchi per le scarpe. Ho avuto la fortuna di entrare in contatto con nomi importanti del settore calzaturiero, come Casadei e Baldinini, veri leader in Italia e nel mondo. Nel 2010 ho aperto la mia prima boutique a Bologna inserendo una linea che mancava nel mercato. Una scarpa con tacchi meno alti, creata per una donna affascinante e concreta: una madre che corre a prendere i figli a scuola, una professionista che ha bisogno di comodità senza rinunciare allo stile.
Qual è stata la sfida più grande che ha affrontato nel passaggio da designer a imprenditore?
La fortuna di essere entrambi. Esistono dei confini da rispettare netti e precisi. Il designer ha la libertà di creare, di lasciarsi trasportare dall’estro, dalla fantasia, senza doversi preoccupare troppo degli aspetti commerciali. È una dimensione artistica libera. L’imprenditore ha la responsabilità di capire se un prodotto incontrerà il gusto del pubblico e il giusto collocamento nel mondo del mercato. Bisognerebbe avere entrambi le competenze e capire che non si può lasciare spazio solo alla creatività di designer. Bisogna fare attenzione a ogni dettaglio e costruire un progetto che funzioni anche economicamente. Non è più una questione estetica o creativa, bensì un equilibrio tra arte e business.
Quali consigli darebbe a chi vuole aprire un’attività nel settore della moda e delle calzature, senza perdere la creatività nel mare di burocrazia?
Bisogna avere tanta determinazione e agganci commerciali importanti.
Il rischio, altrimenti, è quello di aprire un’attività tra le tante. Bisogna inserire gli articoli giusti. Un’attività è vincente quando dentro c’è la tua anima, la tua identità e una direzione commerciale precisa. Senza questo equilibrio, è difficile costruire qualcosa di duraturo.
E’ stato difficile abbracciare il mercato estero?
Una sfida che si vince sul campo, fiera dopo fiera. Non sempre è stato un successo, ho passato momenti difficili a livello morale ed economico. Il mercato è soggetto a mille condizioni e può essere influenzato dalla pandemia, dalle guerre, dall'elezione di un presidente. Ho sempre partecipato con mio prodotto alle fiere nazionali e internazionali, in quanto, sono luoghi di incontro con: buyer, negozianti e boutique provenienti da tutto il mondo. In quei contesti ti mostri: se la collezione piace, vieni scelto e acquistato. Essere ammessi ad alcune fiere è un segno di risonanza, riconoscibilità e rispondere ad alcuni caratteristiche: innovazione, qualità e appeal. Il brand Ancarani mi ha aperto la strada per una distribuzione internazionale: dal Giappone alla Cina, passando per Belgio, Francia, Spagna e Inghilterra.
Quanto conta il Made in Italy?
Collaboro sia con fabbriche italiane sia con aziende spagnole. Sono assolutamente a favore del Made in Italy, ma solo quando questo rappresenta davvero tradizione, valore, capacità artigianale. La qualità del prodotto è il fondamento del nostro lavoro. Se un prodotto è ben fatto, che provenga dall’Italia, dalla Francia o dalla Spagna, per me ha lo stesso valore. L’importante è che chi lavora con te lo faccia in condizioni dignitose, in strutture trasparenti, pulite, dove il lavoro è rispettato, dove non ci siano sfruttamento o condizioni disumane.
Il suo segreto?
Non risparmiarsi mai. I risultati si raggiungono solo se si dedica anima e corpo al proprio lavoro. Non ci sono scorciatoie. Non esistono orari: si lavora ogni giorno, tutta la settimana. È un impegno totale, un coinvolgimento a 360 gradi. Se hai dentro di te questa propensione, questa convinzione profonda, allora – in un modo o nell’altro – qualcosa accade. Ma senza quella passione costante, senza quel fuoco interiore, è difficile arrivare lontano.